Tra un Sirtaki e un’insalata con feta.


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Wanderlust | Parte II.

Se di viaggi si deve parlare, allora penso sia più che doveroso menzionare anche quella volta in cui ci si è innamorati del “viaggio” e si è stabilito che quello era “quello che volevamo fare da grandi”. Sin da piccola ho coltivato molte passioni, i miei genitori non sono stati quel tipo di genitori che decidono per te in tutto e per tutto, non me le hanno date tutte vinte, questo no, ma mi hanno spinto a motivare le mie scelte, in modo tale che in futuro io potessi dire “ho scelto io e non me ne pento, e tornassi indietro lo rifarei”. Credo sia stato proprio questo approccio che mi ha permesso di inseguire i miei sogni e di continuare a fare ciò che mi è sempre piaciuto, aggiungendoci sempre un pezzo nuovo. Ecco perché, quando credo intorno agli 8-10 anni ho trovato un album di fotografie dell’estate 89-90 o 91, comunque di prima che io nascessi, ho capito che dovevo viaggiare.

85893All’epoca, tutti i viaggi cui avevo preso parte erano stati molto vicini a casa, e solo per andare a trovare i parenti. Non che la cosa non mi piacesse, mi divertivo durante il viaggio, mi piaceva rivedere persone che non vedevo tutti i giorni o così spesso, ma sentivo che mi mancava qualcosa. Sapete, i miei genitori sono stati i genitori di quella generazione delle famigerate “diapositive“, per ogni viaggio c’erano almeno un centinaio di diapositive, c’era un proiettore e un muro bianco su cui, ritualmente e a luci spente, venivano proiettate le immagini di viaggi lontani e quasi sbiaditi che, però, mi facevano sognare a occhi aperti. Niente Facebook, niente didascalie. Un muro bianco, il buio, una foto luminosa sulla parete e la voce di mamma e papà che mi raccontavano tutto, sin nel più piccolo dei dettagli. Forse per i più può sembrare una tortura, una noia mortale, ma per me non era così, e non vedevo l’ora di riprendere il proiettore con una nuova scatola di diapositive e una valigia piena di racconti, aneddoti e parole.

Quando ho trovato quello specifico album di foto, me lo ricordo distintamente, la prima cosa che ho cercato è stato l’anno del viaggio, poi sono passata a fare il terzo grado ai miei genitori “chi sono questi?”, “dove eravate?”, “quanto siete stati e dove siete stati?”, “era bello?”, “vi siete divertiti?”, e così via. Le Risposte sono arrivate, piano piano, e io ho iniziato a innamorarmi di quella terra che mi appariva così lontana, nel giro di un attimo. I miei, quell’estate, erano stati in Grecia e avevano conosciuto gente fantastica, anche se, alcuni, avevano dei nomi piuttosto buffi per una bambina di quell’età. Sentendo quei racconti divertenti, raccontati con aria sognante e gli occhi brillanti, ho capito che anche io avrei voluto costruirmi delle memorie di quel tipo, perché anche io un giorno avrei voluto raccontare ai miei figli e ai miei nipoti di quella volta in cui ero in giro e avevo conosciuto persone meravigliose di cui conservavo un ricordo affettuoso e con cui avevo passato del tempo piacevole insieme.

Quando si è trattato di scegliere il liceo, la mia idea di base – che avevo sin dalla prima elementare – di andare al Liceo Classico non è stata totalmente stravolta, ma a 12 anni avevo già ben chiaro in mente di voler imparare diverse lingue straniere e viaggiare il più possibile. Così è stato, soprattutto visto che tra la quinta elementare e la prima media e di nuovo alla fine della prima media avevo sperimentato il fatto di viaggiare per viaggiare, con i miei cugini, prima a Mallorca e poi in Sicilia. Quei due viaggi non hanno fatto altro che confermare la mia attitudine e passione per i viaggi, così in prima superiore, alla prospettiva del primo viaggio di istruzione all’estero, in compagnia di compagni di scuola e professori, in Grecia, il mio amore per i viaggi non ha fatto altro che aumentare.
Ero felice, eccitata, all’idea di partire per la prima volta accompagnata da un folto gruppo di miei coetanei per una terra straniera tutta a scoprire e di cui, negli anni, mi ero innamorata attraverso i libri di storia, di arte e della sua antica lingua con un alfabeto tutto suo. Non vedevo l’ora di andare nella terra dove “alfa” e “omega” non erano solo due modi di dire per intendere il principio e la fine, ma erano due lettere, usate come tali nelle parole e nelle frasi.

1_g_69119Quando siamo partiti con il pullman per raggiungere il porto da cui abbiamo preso la nave – ebbene sì, ci siamo andati in nave, non in aereo -, ho capito che stava cominciando una grande avventura e che la me del futuro era lì, già dentro di me. La macchina fotografica con cui scattare molte fotografie, alla ricerca dell’inquadratura che mi avrebbe restituito, anche ad anni di distanza, l’emozione di trovarmi di fronte al Partenone o al tempio di Delfi o a Micene era la mia compagna inseparabile, così come le risate in allegria, la stanza d’hotel un po’ troppo al di sotto dei nostri standard, la cena alla Plaka, i miei compagni che ballavano la Danza di Zorba, il tipico Sirtaki, sul palco insieme a un’autentica ballerina di danza del ventre, gli scherzi telefonici da una stanza all’altra, la magia di visitare un sito archeologico a cielo aperto con una guida autoctona capace di restituirci quelle che dovevano essere le sensazioni di chi arrivava in quei luoghi nel passato, quando le rovine non erano ancora rovine. Tutto ciò che ho vissuto in quel viaggio ha costruito un pezzo della me che sono ora, quella che riesce, adesso, a sperimentare cibi stranieri, nonostante un minimo di diffidenza, almeno da principio.

E quando, arrivati alla Plaka, abbiamo sentito un duo di chitarristi intonare con accordi e voce “Nel blu dipinto di blu” e ci siamo resi conto che, più della strada e del quartiere caratteristico, eravamo noi le giovani attrazioni. Be’, mi è stato chiaro che, nonostante la timidezza e la poca capacità di stare sotto le luci dell’attenzione generale, ero felice di poter scambiare qualcosa della mia cultura, anche se una sola canzone, con qualcosa di un’altra cultura, anche se magari solo uno spiedino di carne con contorno di insalata con feta e olive greche.

Bye.

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