Wanderlust – Part X.
Chi frequenta un liceo con indirizzo linguistico lo sa, a un certo punto si inizierà a parlare dei famigerati scambi. Sono quelle situazioni in cui ci si gemella con una scuola a volte simile, a volte totalmente differente –dal momento che in Italia abbiamo duemilatrecento tipi di scuole che neanche traducendo i nomi delle materie sono comprensibili o immaginabili all’estero, per cui ogni alunno della scuola X viene accoppiato con un alunno della scuola Y. Sulla base di un’affinità reale, ma molto più spesso presupposta, di insegnanti dell’uno o dell’altro lato, o sulla base di un accoppiamento lasciato alla sorte, tipo estrazione di bigliettini o numeri della tombola di Capodanno. E finisce quasi sempre male.
I momenti prima della partenza sono, anche più che in altre situazioni analoghe, parecchio stressanti. Di solito si sta per andare in un posto che si conosce a malapena, ospiti di una famiglia che, nel migliore dei casi, si è conosciuta esclusivamente via lettera o via email o social nei casi più temporaneamente vicini a oggi. In tutti gli altri casi, invece, non li si è visti mai. Né sentiti. Né niente di niente. Tutte le preoccupazioni e le parole, poi, raggiungono il loro apice quando il mezzo di trasporto individuato per raggiungere la propria meta si ferma nel punto di ritrovo, esattamente nel punto in cui le tue piccole certezze potranno forse vacillare. Come in ogni racconto che si rispetti, però, ho sia un’esperienza positiva sia un’esperienza negativa nel mio curriculum di scambi culturali nell’epoca liceale.
Comincerei da quella brutta, per ovvi motivi.
Immaginate di stare in casa di sconosciuti che non parlano la vostra lingua. Né le altre due lingue che studiate e parlate. Immaginate di arrivare in un paese con usi, costumi, abitudini (alimentari e non), totalmente diversi dalle vostre.
Ora immaginate di avere 15 anni e non poter vedere nessuno dei vostri amici/compagni di classe/viaggio, salvo qualche rara eccezione -nello specifico 4 volti che, dopo essere stati per voi estremamente famigliari, diventeranno per voi quasi insopportabili. Immaginate che questa situazione si protragga per 9 -lunghissimi- giorni, conditi di gite in stadi improbabili, tutti i pasti al McDonald’s, una notte in un albergo decadente a qualche grado sotto zero e in una camera con il riscaldamento farlocco, e un’incidente stradale -con torto- l’ultima sera -coincidente anche con l’unica uscita in compagnia degli amici fatta. Questa la ricetta per il peggior scambio culturale che io abbia fatto nei 5 anni di liceo. L’unica consolazione? Quella di essere stata in questa casa estranea in compagnia di un’amica, con la quale ho condiviso gioie e dolori, gita -non voluta- in ospedale, collo rigido, antipatia per la nostra ospitante e parole poco carine per chiunque volesse separarci mentre si andava al Pronto Soccorso.
Per fortuna, poi, di brutte esperienze come questa non ne ho fatte così tante, e in realtà le altre volte che sono stata a casa di completi estranei, all’estero, per periodi più o meno lunghi, mi sono sempre trovata molto bene.
Ho viaggiato in paesi anglosassoni e non, ho conosciuto famiglie più o meno composite, ho preso parte a una réunion del college in una famiglia allargata estremamente cordiale e simpatica. Ho mangiato piatti più o meno tipici. Ho imparato modi di dire, piccole grandi abitudini. Ho insegnato a fare la pasta asciutta e a servirla al dente. Ho conosciuto, ho scoperto e ho sentito la mancanza di posti appena visitati e persone appena incontrate. Il tutto sempre in ottima compagnia, con buone amiche con cui condividere momenti più o meno esilaranti/imbarazzanti/formativi/divertenti. Ho conosciuto posti attraverso gli occhi dei locals, quelli che ci vivono da sempre e tutti i giorni. Ho incontrato persone più o meno normali che mi hanno fatto capire quanto possiamo essere più o meno strani agli occhi degli altri.
In definitiva, penso che gli scambi culturali siano stati una parte importante della mia formazione scolastica. Mi hanno insegnato a conoscere culture altre, mi hanno insegnato a mettermi in gioco e a rendermi autonoma anche in un Paese che non era il mio. Mi hanno insegnato la bellezza di lasciare un parte di sé in posti lontani, prendendo in cambio ricordi da conservare negli anni.
Il mio parere/consiglio? ⤵️
Penso che partecipare a uno (o a più di uno) scambio culturale sia una scelta intelligente, in grado di arricchire tutti i partecipanti giorno per giorno. E se un viaggio non ti arricchisce, a mio modestissimo parere, non può neanche quasi definirsi davvero un viaggio… Dunque partite, partite e scoprite! Viaggiate e non temete di finire in posti dove non sapete in che lingua esprimervi! Lasciate le comodità di casa, lasciate il nido, la comfort-zone e andate a scoprire cosa c’è al di là delle vostre paure.
Bye.